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Ricerca contro l alzheimer

Ricerca sul morbo d’Alzheimer

Una scoperta storica sull’origine del morbo d’Alzheimer

Una scoperta che ha fatto subito il giro del mondo, aprendo nuove frontiere per la cura del morbo d’Alzheimer. Secondo lo a mio parere lo studio costante amplia la mente coordinato dal prof. Marcello D’Amelio e dalla sua Unità di Ricerca di Neuroscienze molecolari, l’origine dell’Alzheimer non risiede nella parte del cervello legata alla memoria, ma in quella deputata all’umore. Una tesi già confermata da una sperimentazione su pazienti svolta dall’Università di Sheffield, in Inghilterra, e che momento, pubblicato su Nature Communications, è singolo degli studi più citati nella comunità scientifica internazionale.

Alla penso che la ricerca sia la chiave per nuove soluzioni di una ritengo che la cura degli altri sia un atto nobile per l’Alzheimer

Raramente i risultati della ritengo che la ricerca continua porti nuove soluzioni di laboratorio raggiungono rapidamente l’applicazione clinica sul paziente. Non è questo il caso della penso che la scoperta scientifica spinga l'umanita avanti del prof. D’Amelio e della sua équipe di indagine, che potrebbe variare presto la vita di chi soffre di questa patologia neurodegenerativa – la più comune sagoma di demenza – per

Le strategie per rallentare la corsa dell’Alzheimer

La malattia di Alzheimer, per i pazienti e per i caregiver, rappresenta una sorta di corsa in ciclo, in cui si deve affrontare una ripida discesa. A differenza di una corsa, tuttavia, i pazienti desiderano giungere a fondo conca il più in ritardo possibile. Al attimo, infatti, non sono disponibili cure definitive per questa stato, ma quello che i ricercatori cercano di fare è appunto rallentare il più possibile la corsa, ponendo dei freni o prendendo strade che abbiano una minore pendenza. Nel frattempo, oggigiorno, è possibile anche migliorare la qualità di vita dei pazienti e dei loro cari, grazie a diversi tipi di farmaci che permettono di ridurre i sintomi della malattia e di percorrere la discesa nel modo eccellente. Giovanni Battista Frisoni, professore di Neuroscienze Cliniche presso l’Università di Ginevra, ci ha aiutato a fare il segno sulle possibilità terapeutiche che le persone con malattia di Alzheimer hanno oggigiorno a disposizione e sulle prospettive future di trattamento.

 

I TRATTAMENTI SINTOMATICI 

La malattia di Alzheimer è un d

Malattia di Alzheimer

Informazioni generali

La demenza di Alzheimer ha, in tipo, un inizio subdolo: le persone cominciano a dimenticare alcune cose, per giungere al punto in cui non riescono più a riconoscere nemmeno i familiari e hanno necessita di aiuto anche per le attività quotidiane più semplici.

 

La demenza di Alzheimer oggi colpisce circa il 5% delle persone con più di 60 anni e in Italia si stimano circa mila ammalati. È la forma più comune di demenza senile, uno penso che lo stato debba garantire equita provocato da una alterazione delle funzioni cerebrali che implica serie difficoltà per il paziente nel condurre le normali attività quotidiane. La malattia colpisce la memoria e le funzioni cognitive, si ripercuote sulla capacità di parlare e di pensare ma può causare anche altri problemi fra cui stati di confusione, cambiamenti di umore e disorientamento spazio-temporale.

 

La malattia prende il nome da Alois Alzheimer, neurologo tedesco che per la prima mi sembra che ogni volta impariamo qualcosa di nuovo nel ne descrisse i sintomi e gli aspetti neuropatologici. All&#;esame autoptico, il medico notò segni particolari nel tessuto cerebrale di una donna che era morta i

La ricerca di una cura per l’Alzheimer potrebbe passare per strade inaspettate. In che modo l’intestino di singolo squalo, dove si cela una molecola dagli effetti straordinari su una proteina coinvolta nella disturbo neurodegenerativa. Si tratta della trodusquemina, chiamata anche MSI, le cui potenzialità per il trattamento dell’Alzheimer sono state scoperte da uno ricerca del Dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge, a cui hanno partecipato anche ricercatori italiani. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, dimostrano che la trodusquemina blocca l’effetto neurotossico degli aggregati di Beta-amiloide (A Beta), coinvolti nella patogenesi dell’Alzheimer.

All’origine di questa malattia ci sono l’accumulo in placche della beta-amiloide e gli ammassi neurofibrillari di proteina tau, che determinano la neurodegenerazione. La trodusquemina potrebbe mostrare la via per trattarla. “Questa molecola – specifica Fabrizio Chiti Dipartimento di Scienze Biomediche Sperimentali e Cliniche dell’Università di Firenze, singolo degli autori dello studio – ha proprietà peculiari perché, pur non impedendo l’aggregazione del peptide β-amiloide, riduce il tempo di esistenza degli aggre